Entrare in un campo profughi è una tra le esperienze più forti che una persona possa vivere. La prima volta si prova paura, paura dell’ignoto, di essere completamente assorbiti da quel dolore generale e si teme anche per la propria vita.
Varcare il confine e vedere i muri lunghi e bianchi con scritte di pace invita ad avere coraggio, ad entrare in quella realtà che forse non serba solamente emozioni negative. In un campo profughi, infatti, e precisamente in quello di Bab al Salam, dove ho avuto la fortuna di andare più volte, ci sono i valori migliori della vita: la gratitudine, l’amore verso il prossimo, la curiosità per il diverso, la forza imparata perché si è costretti, la speranza coltivata come un contadino fa con un campo di grano.
I bambini ti prendono per mano, ti chiedono come ti chiami, ti salutano e, soprattutto, ti sorridono. Vogliono un abbraccio, una carezza, un bacio, un gesto di amore che li faccia sentire importanti e amati in barba alle condizioni che la guerra implica, a un’infanzia rubata, a genitori strappati via, a piccoli amici persi o feriti, a una situazione generale che li diseduca a considerare quanto importante e speciale sia ognuno di loro. Hanno bisogno, prima che di un vestito, di un alimento, di un giocattolo, di un semplice atto di amore che dica loro: “Tu sei importante, tu vali, tu sei speciale e bellissimo nonostante abbia le mani e i piedi sporchi di fango, i vestiti di giorni fa, i capelli arruffati, le ferite sul viso e sul cuore. La tua bellezza è nei tuoi occhi grandi, colmi di fragilità; nel tuo cuore bianco, puro e fiero; nella tua giocosità e nella tua forza di bambino che dentro ti porta ad essere dieci anni più grande di quello che fuori la tua giovane pelle dimostra. È bella la tua fierezza e il tuo orgoglio, quando rifiuti una felpa perché già la possiedi e me lo fai notare. È bella la tua corsa gioiosa nelle vie fangose del campo, con lo sguardo fisso al nostro finestrino ma è ancora più bello quando cammini al mio fianco, mano nella mano, perché hai la certezza che non devi inseguire nessuno, che nessuno è più importante di te, ma che hai qualcuno al tuo fianco con cui percorrere la tua strada, e che anche tu sei importante. Il mio desiderio è prendere la mano di tutti voi, percorrere insieme tratti del vostro percorso di vita, e vedervi un giorno camminare, con vestiti nuovi, le scarpe ai piedi, le mani e i capelli puliti, il cuore saldo e un futuro più certo di quello di oggi, con una moglie o un marito nella vostra mano, con la danza intorno dei vostri bambini a cui darete tutto l’amore e la sicurezza che a voi sono mancati. Sarete adulti splendidi, coraggiosi, forti, umani e d’una sensibilità speciale e ciò che mi sento di dirvi, ciò che chi è stato al campo vi dice e chi starà al campo vi dirà è che noi crediamo in voi, in ognuno di voi, e che vi supporteremo sotto ogni aspetto finché le vostre gambe non saranno abbastanza tenaci per camminare da sole”.
Una volta andati al campo ritornare non è più una scelta, è un obbligo umano sancito dalla prima volta in cui si è presa la mano di un giovane, piccolo siriano.
Ed è meraviglioso prendere consapevolezza, un giorno, inaspettatamente, che ti senti parte delle loro vite e di quel luogo a tal punto da considerare il vero ritorno non più quello al campo ma quello in Italia. La tua casa è diventata il loro cuore.”
Foto © Paola Viola